Importante contributo sul decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490



In base all' articolo 155 è prevista una procedura che potrebbe rilevarsi importante per quelle opere rilevanti di intervento sul territorio quali le strade e le cave, oggetto da sempre di pesanti ferite sul territorio in particolare nelle aree vincolate e delle aree boscate. L'articolo prevede infatti che:

“1. Nel caso di aperture di strade e di cave, nel caso di condotte per impianti industriali e di palificazione nell'ambito e in vista delle località indicate alle lettere c) e d) dell'articolo 139, ovvero in prossimità delle cose indicate alle lettere a) e b) dello stesso articolo, la regione ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le varianti ai progetti in corso di esecuzione, le quali, tenendo in debito conto l'utilità economica delle opere già realizzate valgano ad evitare pregiudizio ai beni protetti da questo Titolo.

2. La medesima facoltà spetta al Ministero che la esercita previa consultazione della regione”.

Come appare evidente anche il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, in quella specie di competenza sovraordinata che emerge saltuariamente in tutta la stesura della normativa, conserva una specie di potere di intervento superiore rispetto a tale tema. Anche questo sarebbe un argomento importante che meriterebbe particolare attenzione da parte della pubblica amministrazione, in particolar modo di quella Statale. Ma, siccome le cose fino ad oggi sono andate ben diversamente,  non si devono riporre molte speranze che soltanto la rielaborazione formale ed esteriorizzante del testo possa modificare poi situazioni amministrative cristallizzate ormai nel tempo pregresso secondo una scelta sistematica di assenza di mancato intervento.

 

L'articolo 159 prevede in ordine alla "vigilanza" che "le funzioni di vigilanza sui beni ambientali tutelati da questo titolo sono esercitati dal Ministero e dalle Regioni". Articolo importante ma pericoloso. Infatti,  non deve generare né illusioni né timori. Trattasi esclusivamente di una vigilanza intesa in senso amministrativo preventivo in ordine alla corretta applicazione e gestione puramente e semplicemente amministrativa e burocratica del vincolo. Non deve assolutamente equivocarsi e tradursi questo termine di vigilanza con la vigilanza repressiva di ordine di polizia giudiziaria ambientale sulle violazioni soprattutto penali in ordine alla normativa sui vincoli paesaggistici ed edilizia in senso generale. Nessuno quindi deve oggi iniziare di nuovo a trarre, come aveva fatto in modo maldestro in passato, l'idea che gli organi di polizia statale e/o locali non siano competenti per andare a verificare gli illeciti (soprattutto penali) in ordine alla violazione del vincolo sul territorio. Si sottolinea e ribadisce che come vigilanza si intende esclusivamente una attività di monitoraggio preventivo in ordine alle prassi amministrative, mentre la vigilanza resta puramente e semplicemente di competenza di tutta la polizia giudiziaria relativamente al sistema sanzionatorio. La individuazione della competenza per l’accertamento e la repressione dei reati ambientali continua a rappresentare infatti  ancora oggi un punto nevralgico preliminare per la corretta ed efficace applicazione dei principi delineati dalla normativa di settore e previsioni come quella citata possono generare qualche equivoco in sede di interpretazione ed applicazione.

Si deve  dunque anche in questa sede riaffermare il principio in base al quale nel nostro ordinamento giuridico la competenza per i reati ambientali, per tutti indistintamente i reati ambientali, appartiene come diritto/dovere a tutti gli organi di polizia giudiziaria statali e locali. Non esiste a livello di principio un organo di polizia giudiziaria ambientale unico ed esclusivo e dunque la competenza è ripartita a livello generale e diffusa secondo i principi generali del codice di rito al pari, e certamente non di meno, degli altri reati che magari investono la tutela del patrimonio privato.

Il concetto potrebbe apparire logico e banale. Ma, evidentemente, così non è stato nella realtà delle cose concrete se la Corte di Cassazione è dovuta intervenire ripetutamente con diverse sentenze per affermare e ribadire questi principi.

Si veda, ad esempio, che la  Suprema Corte già  con la sentenza Cass. Pen. III Sez. Pres. Gambino Est. Postiglione n. 1872 del 27-9-91 sancisce dunque da tempo remoto espressamente che «i reati in materia ambientale sono di competenza di tutta la polizia Giudiziaria, senza distinzione di competenze selettive o esclusive per settori, anche se di fatto esistono delle specializzazioni». La Suprema Corte, per ovviare a realistiche problematiche derivanti da una mancata qualificazione professionale su specifici e particolari punti tecnici da parte della PG in generale, aggiunge che “naturalmente la P.G. potrà avvalersi di "persone idonee" nella qualità di "ausiliari" e l'accertamento tecnico che ne consegue deve considerarsi atto della stessa P.G. ". 

Va evidenziato che hanno contribuito ad alimentare confusioni interpretative in questo settore le citazioni espresse di alcuni organi che a volte in testi normativi ambientali (come nel caso di specie) vengono indicati come “affidatari” principali della vigilanza in relazione agli illeciti della stessa norma.

Trattasi, in realtà, di meri di rafforzamenti a livello politico-istituzionale del ruolo di organi ora amministrativi (come nel caso di specir) ora  di polizia specifici su certi temi e settori che tendono a proporre il ruolo preminente e per certi versi significativamente visibile degli stessi organi in quel determinato settore anche come punto di riferimento primario per le altre istituzioni ed i cittadini. Ma nulla di più.

Dette citazioni, dunque, devono essere considerate espressioni di principi politici generali perché non esonerano, e non potrebbero esonerare, altre forze di polizia ad operare in quel settore (specialmente in seguito alla realizzazione di un reato) e non costituiscono deroga al principio-base in base al quale tutta la P.G. é sempre e comunque competente per tutti i reati ambientali, ovunque commessi. 

 

Il sistema sanzionatorio è delineato poi negli articoli 163 e 164 in stretta sinergia. Si prevede infatti nell'articolo 163 che:

“1. Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere sui beni ambientali è punito con le pene previste dall'articolo 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.

2. Con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato. Copia della sentenza è trasmessa alla regione ed al comune nel cui territorio è stata commessa la violazione”.

La concettualità è pressoché identica alla struttura fino ad oggi eseguita, va rilevato che la parola "chiunque" riportata consente di ritenere (come del resto appare logico)  che non soltanto il proprietario o comunque che ha in gestione materiale l'area territoriale al momento, ma qualunque soggetto in accordo o disaccordo con quest'ultimo che intervenga sul territorio senza i nulla osta preventivi del caso soggiace al sistema sanzionatorio in questione. Naturalmente il vizio genetico di detto sistema sanzionatorio è palese. La legge 431, seppure rinnovata nell'attuale testo unico,  resta puramente e semplicemente una norma di forma e non di sostanza. Infatti, come appare bene evidente,  non viene punito lo scempio paesaggistico ambientale in se stesso bensì la realizzazione di interventi senza il preventivo nulla osta regionale. Il che significa a livello pratico che trattasi di una violazione di natura preventivamente formale e soltanto poi di conseguenza sostanziale, giacché laddove il nulla osta fosse in ipotesi rilasciato anche per un'opera che rappresentasse un enorme scempio paesaggistico ambientale di fatto ma fosse assentita dai regolari atti della pubblica amministrazione detto sistema sanzionatorio specifico, stante la sua formulazione,  certamente non scatterebbe. Anzi, il condizionale è fuorviante, perché fino ad oggi di fatto non è scattato. Registriamo infatti sul nostro territorio in passato e a tutt'oggi nulla osta criticabilissimi rilasciati dalla pubblica amministrazione per opere che in se stesse costituiscono scempio paesaggistico ambientale ma, essendo regolarmente autorizzate sia a livello regionale che a livello comunale poi con la concessione, non danno luogo certamente a nessun tipo di illecito e questo sistema sanzionatorio specifico non è mai scattato e non potrebbe scattare. Sono fatte salve naturalmente le sanzioni dell'articolo 734 del Codice Penale sul quale svolgeremo poi qualche riflessione parallela. 

Va sottolineato che "(...) il reato previsto dall'art. 1 sexies (precedente norma, oggi art. 163 T.U. - ndr) ha carattere formale e di pericolo, e per la consumazione di esso, non si richiede il danneggiamento, il deturpamento o l'alterazione dei luoghi, dacché il vincolo posto su certe parti del territorio nazionale ha una funzione prodromica al governo del territorio stesso." (Cass. pen. sez. III, 27 settembre 1995, n. 9879) e che “ (...)   la contravvenzione prevista dall'art. 1 sexies L. 8 agosto 1985, n. 431 (precedente norma, oggi art. 163 T.U. - ndr)  integra una ipotesi di reato di pericolo che può dirsi verificata con la sola realizzazione di lavori in area sottoposta a vincolo paesaggistico e costituisce una ipotesi autonoma ed indipendente da quella prevista dall'art. 20 della L. 28 febbraio 1985, n. 47" (Cass. pen. sez. III; 24 ottobre 1995, n. 10557).

Comunque la P.G. deve   operare  un accertamento concreto  della sussistenza della distruzione o alterazione delle bellezze naturali e dell’ambiente in senso biologico perché se é vero che il reato in questione é formale é viene integrato dal mancato ottenimento del nulla-osta regionale (“La contravvenzione di cui all'art. I sexies (precedente norma, oggi art. 163 T.U. - ndr)  ha natura di reato di pericolo, in quanto è sufficiente l'accertamento della mancanza del provvedimento amministrativo. ai fini della sua configurabilità.” Cass. pen. sez. III, 5 aprile 1994. n. 3957),  é pur vero che non ogni intervento sul territorio é soggetto a detto nulla-osta; dunque accertare e documentare che l’opera ha causato un danno estetico-visivo equivale implicitamente a dimostrare che quell’opera era, per la sua portata ed incidenza estetico-ambientale, di per se stessa soggetta al vincolo appunto perché impegnativa sotto il profilo territoriale. Peraltro il reato concorrente di cui all’art. 734  C.P. non viene automaticamente integrato, come quello citato art. 163 T.U.   con il formale omesso ottenimento del nulla osta, ma trattandosi di reato di sostanza e non di forma va precisato che non sempre con la modificazione di un luogo si verifica un'alterazione della bellezza panoramica ed estetica ai fini del reato stresso (in quanto se essa si attua in modo tale da non modificare la bellezza naturale complessiva, l'illecito de quo non è configurabile); sul punto si veda: “la contravvenzione di cui all'articolo 734 del Cp si configura come un reato di danno concreto e non di pericolo (o di danno presunto), richiedendo per la sua punibilità che si verifichi in concreto la effettiva e reale distruzione ovvero il deturpamento o l'occultamento delle bellezze naturali protette. Pertanto non è sufficiente per integrare gli estremi del reato né l'esecuzione di un'opera né la semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo, ma occorre che tale alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione o il vincolo delle bellezze naturali." (Cass. Pen. Sezione III, sentenza 14 luglio-7 settembre 1995 n. 9486-Pres. Glinni; Rel. Franco).

Nel caso di lavori  avviati in area vincolata da  colui che è in possesso soltanto dell'autorizzazione regionale  (ritenendo che tale atto sia sufficiente per essere autorizzato ai lavori), si osserva che in realtà  l'autorizzazione regionale se è propedeutica al rilascio della concessione urbanistico-edilizia comunale da sola non ha valore assoluto per opere di qualunque natura che comportino un mutamento definitivo e rilevante dell'assetto urbanistico-territoriale e dunque è del tutto inutilizzabile in se stessa per giustificare un avvio dei lavori.

 

Va sottolineato e ribadito il principio in base al quale con la sentenza di condanna è obbligatorio l'ordine contestuale di remissione in pristino dello stato dei luoghi a cura e spese del condannato. Tale principio rappresenta uno degli elementi portanti della normativa sui vincoli in quanto costituisce, al di là dell'aspetto meramente repressivo e sanzionatorio,  una importantissima pratica conseguenza per la salvaguardia dell'ambiente naturale.

Il successivo articolo 164 delinea le procedure per lo sviluppo dell'ordine di remissione in pristino di natura amministrativa :

“1. In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti da questo Titolo, il trasgressore è tenuto, secondo che la regione ritenga più opportuno, nell'interesse della protezione dei beni indicati nell'articolo 138, alla rimessione in pristino a proprie spese o al pagamento di una somma equivalente al maggior importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. La somma è determinata previa perizia di stima.

2. Con l'ordine di rimessione in pristino è assegnato al trasgressore un termine per provvedere.

3. In caso di inottemperanza, la regione provvede d'ufficio per mezzo del Prefetto e rende esecutoria la nota delle spese.

4. Le somme riscosse a norma del comma 1 sono utilizzate per finalità di salvaguardia, interventi di recupero dei valori ambientali e di riqualificazione delle aree degradate”.

Va rilevato che nell'articolo 163 è altresì previsto che copia della sentenza viene trasmesso alla Regione e al Comune nel territorio in cui è stata commessa la violazione. Ma i due concetti non vanno assolutamente confusi.

 Infatti,  la procedura di cui all'articolo 164 deve essere intesa come assolutamente autonoma rispetto al sistema sanzionatorio del precedente articolo 163 e non si può generare equivoco dal fatto che la sentenza di condanna va trasmessa anche agli enti amministrativi. Infatti, l'iter dell'ordine di remissione in pristino previsto dall'articolo 164 evidentemente si riferisce alla naturale evoluzione dell'attività autonoma preventiva della pubblica amministrazione che dovrebbe essere in realtà esaustiva rispetto alla successiva procedura penale. Invece l'ordine impartito dal magistrato nella sentenza di condanna ha carattere squisitamente giurisdizionale e non può essere demandato poi quanto ad esecuzione alla pubblica amministrazione (nel caso di specie alla Regione). Dunque le due procedure sono e restano distinte. In realtà quando giunge l'ordine del magistrato la procedura amministrativa preventiva di competenza della pubblica amministrazione (come del resto anche nella ordinaria normativa urbanistico - edilizia prevista dalla legge n. 47/85) dovrebbe essere stata ormai esaurita e,  in teoria, l'abbattimento e/o rimessione in pristino già effettuata. Talché l'ordine del magistrato dovrebbe essere superfluo. In realtà detto ulteriore ordine è di principio soltanto aggiuntivo e surrogativo rispetto a una situazione iniziale di inerzia della pubblica amministrazione che nelle more del dibattimento penale non è riuscita a concludere il proprio più veloce iter amministrativo. Dunque sarebbe irrealista l'ipotesi che l'ordine del magistrato penale di natura giurisdizionale così inquadrato vada poi a riversarsi (e quindi sostanzialmente ad esaurirsi) ancora una volta nel contesto dell'attività amministrativa che aveva visto già fallire la propria procedura di abbattimento e rimessione in pristino. In realtà le due previsioni sono del tutto dissimili e quella prevista dall'articolo 163 comporta conseguenze ben più penetranti perché puramente giurisdizionali rispetto a quella squisitamente amministrativa prevista dall'articolo 164.

 Vediamo qualche riflessione importante in ordine alla rimessione in pristino ordinata dal giudice ex  articolo 163 nuovo testo unico.

 

Seguendo il criterio già fissato con l’ordine di demolizione della legge n. 47 del 1985, il nuovo T.U.  prevede parallelo importantissimo principio:   l'obbligo per il giudice penale, in caso di opere eseguite in violazione del regime del vincolo, di ordinare la remissione in pristino dello stato dei luoghi.  Concetto ben più completo ed organico rispetto alla semplice demolizione prevista dalla legge urbanistico-edilizia,  trattandosi di legge destinata a tutelare habitat e paesaggi nella loro integrità topografica ed ambientale, oltre che estetica e visiva.

Sul punto registriamo due principi molto importanti.

In primo luogo l’ordine di remissione in pristino dello stato dei luoghi deve essere obbligatoriamente inserito dal giudice anche nella sentenza di patteggiamento: "L'ordine di rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi a spese del condannato, previsto dal secondo comma delI'art. I sexies L. n. 431 del 1985 (cosiddetta legge Galasso), va impartito dal giudice anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti, non trovando applicazione il disposto del primo comma dell'art. 445 c.p.p. 1988 in quanto l'ordine suddetto, lungi dal rappresentare una pena accessoria, va collocato fra le sanzioni di carattere amministrativo irrogabili dal giudice ordinario.”  (Cass. pen., sez. III, I marzo 1991, n. 2695, Ventura. ); "L'ordine di remissione in pristino dello stato originario dei luoghi a spese del condannato, previsto dal secondo comma dell'articolo 1-sexies della legge 431/1985, non costituisce affatto una pena accessoria, per cui non trova  applicazione l'invocato disposto dell'articolo 445, comma 1, del Cpp, ma va collocato tra le sanzioni di carattere amministrativo irrogabili dal giudice ordinario." (Cass. pen. Sezione III, sentenza 5 luglio - 7 settembre 1995 n. 9422 - Pres. Glinni; Rel. De Maio)

Non solo. Ma il principio é stabilito dalla Cassazione in modo talmente inequivocabile ed imperativo che la Suprema Corte giunge a sancire che ove il giudice non adempia a tale obbligo in luogo dell’annullamento della sentenza il Supremo  Collegio provvederà direttamente ad integrare la sentenza irregolare apponendovi l’ordine in questione: "L'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato previsto dall'art. 1 sexies della L. 8 agosto 1985, n. 431, in relazione alla violazione formale della realizzazione di opere di modificazione dei luoghi sottoposti al vincolo ambientale in assenza della prescritta autorizzazione, non comportando alcuna decisione di merito, stante la sua assoluta obbligatorietà, può essere adottato dalla Corte di Cassazione a norma dell'art. 620, lettera 1), allorché sia stato omesso dalla decisione impugnata."  (Cass. Pen. sez. VI, 13 gennaio 1994, n. 195   Pres. Vessia - Est. Albamonte ).

L’orientamento della Suprema Corte è rimasto nel tempo immutato su tale principio; si veda per tutte  Cassazione Penale - Sezione III - Sentenza del 18 febbraio 1998 n. 64 - P.M. in proc. Corrado F.). In ordine specifico alla legge 431/85 si veda: “ L'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi disciplinato dall'art. 1 sexies della legge 8 agosto 1985, n. 431, avendo natura non di pena accessoria, ma di sanzione amministrativa, la cui applicazione è una conseguenza obbligata della sentenza di condanna, deve essere disposto anche a seguito della sentenza di "patteggiamento", che è equiparata alla sentenza di condanna ad ogni effetto non espressamente escluso dalla legge o che non presupponga un accertamento cognitione plena  della responsabilità penale. A nulla rileva che esso non abbia formato oggetto dell'accordo, trattandosi di atto dovuto e sottratto alla disponibilità delle parti, del quale l'imputato deve tener conto nell'attivare la procedura alternativa in questione.” (Cassazione Penale - Sezione VI - Sentenza del 13 marzo 1998 n. 3228 - P.G. in proc. Poli C.).

Rileviamo ancora, e questo é concetto di maggiore interesse diretto per la P.G., che   la Corte di Cassazione ha stabilito che l'esecuzione pratica dell'ordine di remissione in pristino dello stato dei luoghi in questione non deve essere rimessa al sindaco bensì deve essere attuata direttamente dall'autorità giudiziaria (P.M.) . Il principio é parallelo e sinergico rispetto alla competenza del PM tracciata per l’ordine di demolizione nel  capitolo precedente. Infatti in relazione all'ordine di demolizione previsto dalla legge 47/85 le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno infatti stabilito "la natura di provvedimento giurisdizionale all’ordine di demolizione, con la conseguenza che ne é demandata l’esecuzione al pubblico ministero ed al giudice dell’esecuzione secondo i rispettivi ruoli" e precisano che "la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria  riguardo all’esecuzione dell’ordine di demolizione é conseguente alla caratterizzazione che tale provvedimento riceve dalla sede  in cui viene adottato, non essendo neppure ipotizzabile che l’esecuzione di un provvedimento adottato dal giudice venga affidata alla pubblica amministrazione" e dunque "l’organo promotore dell’esecuzione va identificato nel pubblico ministero"; precisano  che "la cancelleria del giudice dell’esecuzione deve provvedere al recupero delle spese del procedimento di esecuzione nei confronti del condannato previa eventuale garanzia reale a seguito di sequestro conservativo imposto su beni dell’esecutato" (Cass. Pen. Sezioni Unite - c.c. 19/6/96 n. 15 - Pres. Callà - Rel Albamonte).

Va rilevato che Cass. pen. Sez. III, 28 gennaio 1993, n. 21   Pres. Papillo - Est. Montoro estendeva già il concetto anche all’ordine di rimessione in pristino della “legge-Galasso”; infatti nella motivazione della citata sentenza si avvalora l'estendibilità del concetto ai reati previsti dalla legge 431/85, assegnando anzi a detti illeciti natura ancor più diretta in ordine a detta attività di rimessione in pristino come  direttamente attuabile  ad opera del magistrato. Infatti la Suprema Corte stabilisce addirittura che  " (...)   l'ordine di demolizione attiene al settore edilizio-urbanistico, disciplinato non in via primaria-fondamentale nell'assetto costituzionale; quello di ripristino paesaggistico ha invece una evidente incidenza costituzionale, essendo diretta espressione del ricordato art. 9. (.. .)". Ed aggiunge poi: " (...) La mancata introduzione di una subordinazione dell'ordine del magistrato penale alla inerzia della Amministrazione ha un preciso significato: la assoluta autonomia dei due provvedimenti. Così, ad esempio, se in un bosco viene realizzata una qualsiasi struttura ed abbattuti gli alberi, mentre l'amministrazione potrà soltanto eliminare l'immobile, l'autorità giudiziaria dovrà anche ordinare il ripristino delle piante. Risulta ora evidente la differenza strutturale dei due provvedimenti.  L'ordine de quo inoltre non è espressione di una attività di supplenza, assegnata legislativamente al giudice nel caso di inerzia della P.A., ma è esercizio di un potere riservato in modo autonomo e concorrente con quello dell'amministrazione stessa. Anzi in qualche caso è <<esclusivo>> dell'autorità giudiziaria, come in ogni ipotesi in cui non vi siano <<demolizioni>> da compiere (unico contenuto - come detto dell'ordine amministrativo). E' pertanto da escludere che esso possa essere annoverato tra le sanzioni amministrative. Può, al termine dell'excursus fin qui svolto, individuarsi l'articolato e complesso meccanismo sanzionatorio, che si delinea in modo abbastanza chiaro. Attraverso successive stratificazioni legislative si è creata una duplicità di interventi repressivi: uno riservato alla P.A. e l'altro all'A.G. Nella materia paesaggistica però il legislatore - vista la scarsa applicazione concreta dell'ordine amministrativo di demolizione - ha conferito al giudice penale non più un potere meramente surrogatorio, ma primario ed esclusivo, svincolato da ogni altro concorrente. Esso è stato però limitato al solo caso in cui venga pronunziata una <<sentenza di condanna>>. In questa ipotesi - pur senza escludere l'intervento ad adiuvandum dell'Amministrazione - il legislatore ha conferito il compito al magistrato penale, che deve ordinare il ripristino dei luoghi. Consequenziale è evidentemente l'esecuzione penale del provvedimento con l'esclusione - questa volta - di ogni diversa forma di esecuzione medesima. (...)"

E dunque la Suprema Corte stabilisce chiaramente che ancor più che l'ordine di demolizione previsto dalla legge 47/85, soprattutto l'ordine di rimessione in pristino previsto dalla legge 431/85 deve essere eseguito in via giudiziaria penale e quindi dal PM. Il concetto resta naturalmente immutato in ordine all’evoluzione nell’art. 163 nuovo T.U.

Ed il concetto é ancora più specificamente espresso nei passi successivi della sentenza, ove la Cassazione ribadisce che " (...)  deve  (...)  confermarsi la natura penale della sanzione de qua. (...) Quest'ultima è applicata dal magistrato penale; è autonoma e più ampia rispetto a quella amministrativa; consegue a sentenza di condanna. (...)". Ed infine sottolinea: " (...)Non si vede, quindi, perché proprio l'autorità giudiziaria non potrebbe eseguire l'ordine da lei stessa dato; in definitiva neanche la tanto conclamata funzione di supplenza vi osta, essendo la stessa - a ben riflettere - concettualmente incompatibile con la pretesa assolutezza della riserva amministrativa in materia.(...)".

 Va sottolineato che successivamente alla citata pronuncia delle Sezioni Unite l’orientamento della Suprema Corte sul tema è rimasto poi costante; si veda per tutte: Cassazione Penale - Sezione II - Sentenza del 1° dicembre 1998 n. 12647 - Simeone).

Si ritiene dunque pacifico  il concetto che vuole l'ordine di remissione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato debba eseguito dal PM competente dopo il passaggio in giudicato della sentenza.  Per le modalità esecutive l’attività di fatto può essere eseguita da personale idoneo di P.G. o dipendente da ente pubblico sotto il controllo di organo di P.G. delegato dal PM.

  Con questo principio, al pari di quello analogo stabilito per l’ordine di demolizione, si demanda al pubblico ministero l'esecuzione dell'ordine di remissione in pristino dello stato dei luoghi e con l'ausilio della forza pubblica e si supera così di netto la fase di stallo che spesso si genera in materia da parte dell'amministrazione comunale.

Le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione hanno stabilito, inoltre, con una importantissima sentenza che il Pretore può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena all'obbligo di abbattimento delle opere abusive in caso di condanna per violazioni alla normativa urbanistico edilizia. Si legge infatti nella motivazione della sentenza  Cass. pen. Sez. Unite n. 10  del 3/2/97 (udienza 20/11/96) Presidente Scorselli -  estensore Albamonte -  che "va affermato che il Giudice, nel concedere la sospensione condizionale della pena inflitta per il reato di esecuzione di lavori in assenza di concessione edilizia o in difformità, legittimamente può subordinare detto beneficio all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell'opera eseguita, disposta in sede di condanna del responsabile. L'ordine di demolizione, come affermato da queste Sezioni Unite (sentenza P.M. in procedimento Monterisi), ha natura di provvedimento giurisdizionale accessivo alla statuizione della condanna, emesso sulla base dell'accertamento dell'attuale conservazione dell'opera offensiva dell'interesse tutelato. E` di spettanza degli organi preposti all'esecuzione del giudicato l'accertamento dell'adempimento dell'obbligo imposto nel termine della sentenza o fissato dallo stesso Giudice dell'esecuzione su richiesta del Pubblico Ministero. A seguito dell'inadempimento il Giudice della esecuzione provvederà alla revoca (di carattere non automatico ancorché che obbligatoria) del beneficio condizionato (articolo 168 comma primo Codice di Procedura Penale)".

Anche in ordine a tale principio va sottolineato che successivamente alla citata pronuncia delle Sezioni Unite l’orientamento della Suprema Corte è rimasto poi costante (cfr. Cassazione Penale - Sezione feriale - Sentenza del 30 settembre 1998 n. 10309 – Consoli); in ordine alla legge sui vincoli si veda in modo specifico ad  esempio: “In tema di protezione delle bellezze naturali deve ritenersi legittima la subordinazione della sospensione condizionale della pena all'ordine di rimessione in pristino previsto dall'art. 1 sexies della legge 8 agosto 1985 n. 431. Infatti è sicuramente possibile l'utilizzazione del disposto dell'art. 165 c.p., rivolto a rafforzare il ravvedimento del condannato, poiché la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, ben può comportare conseguenze dannose o pericolose; inoltre la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso e quindi si riconnette al preminente interesse di guistizia sotteso all'esercizio dell'azione penale. Peraltro l'obbligo di ripristino si colloca su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello dei poteri della pubblica amministrazione e delle valutazioni della stessa, configurandosi come conseguenza necessaria sia dell'esigenza di recuperare l'integrità dell'interesse tutelato, sia del giudizio di disvalore che il legislatore ha dato all'attuazione di interventi modificativi del territorio in zone di particolare interesse ambientale." (Cassazione Penale - Sezione III - Sentenza del 3 aprile 1998 n. 4135 - Settimi). Riteniamo che il principio può essere, per sinergico parallelismo, applicato anche all'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi pronunciato dal giudice ex art. 163 nuovo T.U. (vedi precedente art. 1  sexies, legge 431/85 - legge-Galasso). Del resto già in precedenza la Cassazione aveva prospettato principio parallelo:  “L'ordine di rimessione in pristino previsto, in caso di condanna, dall'art. 1 sexies del D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni nella L. 8 agosto 1985, n. 431, costituisce esplicazione di un potere-dovere conferito al giudice penale in via primaria ed esclusiva, e non meramente surrogatoria di un concorrente potere-dovere dell'autorità amministrativa, come si verifica invece nel caso dell'ordine di demolizione di opere abusive previsto dall'art. 7, ultimo comma, della L. 27 febbraio 1985, n. 47. Il detto ordine, pertanto, non ha natura di sanzione amministrativa né di pena accessoria, ma è assimilabile ad una vera e propria sanzione penale; dal che deriva che esso, oltre a costituire statuizione alla cui esecuzione può essere subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena, ai sensi dell'art. 165 c.p. deve essere emanato anche in caso di applicazione della pena su richiesta (non ostandovi il disposto di cui all'art. 445 c.p.p.), e va eseguito nelle forme previste per l'esecuzione penale.” ( Cass. pen. Sez. III 22-2-93 Pres. Accinni Estr. Morgini).

 
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