Importante contributo sul decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490 |
In
base all' articolo 155 è
prevista una procedura che potrebbe rilevarsi importante per quelle opere
rilevanti di intervento sul territorio quali le strade e le cave,
oggetto da sempre di pesanti ferite sul territorio in particolare nelle
aree vincolate e delle aree boscate. L'articolo prevede infatti che: “1.
Nel caso di aperture di strade e di cave, nel caso di condotte per
impianti industriali e di palificazione nell'ambito e in vista delle
località indicate alle lettere c) e d) dell'articolo 139, ovvero in
prossimità delle cose indicate alle lettere a) e b) dello stesso
articolo, la regione ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e
le varianti ai progetti in corso di esecuzione, le quali, tenendo in
debito conto l'utilità economica delle opere già realizzate valgano ad
evitare pregiudizio ai beni protetti da questo Titolo. 2.
La medesima facoltà spetta al Ministero che la esercita previa
consultazione della regione”. Come
appare evidente anche il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, in
quella specie di competenza sovraordinata che emerge saltuariamente in
tutta la stesura della normativa, conserva una specie di potere di
intervento superiore rispetto a tale tema. Anche questo sarebbe un
argomento importante che meriterebbe particolare attenzione da parte della
pubblica amministrazione, in particolar modo di quella Statale. Ma,
siccome le cose fino ad oggi sono andate ben diversamente,
non si devono riporre molte speranze che soltanto la rielaborazione
formale ed esteriorizzante del testo possa modificare poi situazioni
amministrative cristallizzate ormai nel tempo pregresso secondo una scelta
sistematica di assenza di mancato intervento. L'articolo
159
prevede in ordine alla "vigilanza" che "le
funzioni di vigilanza sui beni ambientali tutelati da questo titolo sono
esercitati dal Ministero e dalle Regioni". Articolo importante ma
pericoloso. Infatti, non deve
generare né illusioni né timori. Trattasi esclusivamente di una
vigilanza intesa in senso amministrativo preventivo in ordine alla
corretta applicazione e gestione puramente e semplicemente
amministrativa e burocratica del vincolo. Non deve assolutamente
equivocarsi e tradursi questo termine di vigilanza con la vigilanza
repressiva di ordine di polizia giudiziaria ambientale sulle violazioni
soprattutto penali in ordine alla normativa sui vincoli paesaggistici ed
edilizia in senso generale. Nessuno quindi deve oggi iniziare di nuovo a
trarre, come aveva fatto in modo maldestro in passato, l'idea che gli
organi di polizia statale e/o locali non siano competenti per andare a
verificare gli illeciti (soprattutto penali) in ordine alla violazione del
vincolo sul territorio. Si sottolinea e ribadisce che come vigilanza si
intende esclusivamente una attività di monitoraggio preventivo in ordine
alle prassi amministrative, mentre la vigilanza resta puramente e
semplicemente di competenza di tutta la polizia giudiziaria relativamente
al sistema sanzionatorio. La individuazione della competenza per
l’accertamento e la repressione dei reati ambientali continua a
rappresentare infatti ancora
oggi un punto nevralgico preliminare per la corretta ed efficace
applicazione dei principi delineati dalla normativa di settore e
previsioni come quella citata possono generare qualche equivoco in sede di
interpretazione ed applicazione. Si
deve dunque anche in questa
sede riaffermare il principio in base al quale nel nostro ordinamento
giuridico la competenza per i reati ambientali, per tutti indistintamente
i reati ambientali, appartiene come diritto/dovere a tutti gli organi di
polizia giudiziaria statali e locali. Non esiste a livello di principio un
organo di polizia giudiziaria ambientale unico ed esclusivo e dunque la
competenza è ripartita a livello generale e diffusa secondo i principi
generali del codice di rito al pari, e certamente non di meno, degli altri
reati che magari investono la tutela del patrimonio privato. Il
concetto potrebbe apparire logico e banale. Ma, evidentemente, così non
è stato nella realtà delle cose concrete se la Corte di Cassazione è
dovuta intervenire ripetutamente con diverse sentenze per affermare e
ribadire questi principi. Si
veda, ad esempio, che la Suprema
Corte già con la sentenza
Cass. Pen. III Sez. Pres. Gambino Est. Postiglione n. 1872 del 27-9-91 sancisce dunque da
tempo remoto espressamente che «i reati in materia ambientale sono di
competenza di tutta la polizia Giudiziaria, senza distinzione di
competenze selettive o esclusive per settori, anche se di fatto esistono
delle specializzazioni». La Suprema Corte, per ovviare a realistiche
problematiche derivanti da una mancata qualificazione professionale su
specifici e particolari punti tecnici da parte della PG in generale,
aggiunge che “naturalmente la P.G. potrà avvalersi di "persone
idonee" nella qualità di "ausiliari" e l'accertamento
tecnico che ne consegue deve considerarsi atto della stessa P.G. ".
Va
evidenziato che hanno contribuito ad alimentare confusioni interpretative
in questo settore le citazioni espresse di alcuni organi che a volte in
testi normativi ambientali (come nel caso di specie) vengono indicati come
“affidatari” principali della vigilanza in relazione agli illeciti
della stessa norma. Trattasi,
in realtà, di meri di rafforzamenti a livello politico-istituzionale del
ruolo di organi ora amministrativi (come nel caso di specir) ora
di polizia specifici su certi temi e settori che tendono a proporre
il ruolo preminente e per certi versi significativamente visibile degli
stessi organi in quel determinato settore anche come punto di riferimento
primario per le altre istituzioni ed i cittadini. Ma nulla di più. Dette
citazioni, dunque, devono essere considerate espressioni di principi
politici generali perché non esonerano, e non potrebbero esonerare, altre
forze di polizia ad operare in quel settore (specialmente in seguito alla
realizzazione di un reato) e non costituiscono deroga al principio-base in
base al quale tutta la P.G. é sempre e comunque competente per tutti i
reati ambientali, ovunque commessi. Il
sistema sanzionatorio è delineato poi negli articoli
163 e 164 in stretta sinergia. Si prevede infatti
nell'articolo 163 che: “1.
Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa,
esegue lavori di qualsiasi genere sui beni ambientali è punito con le
pene previste dall'articolo 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. 2.
Con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in pristino dello
stato dei luoghi a spese del condannato. Copia della sentenza è trasmessa
alla regione ed al comune nel cui territorio è stata commessa la
violazione”. La
concettualità è pressoché identica alla struttura fino ad oggi
eseguita, va rilevato che la parola "chiunque" riportata
consente di ritenere (come del resto appare logico)
che non soltanto il proprietario o comunque che ha in gestione
materiale l'area territoriale al momento, ma qualunque soggetto in accordo
o disaccordo con quest'ultimo che intervenga sul territorio senza i nulla
osta preventivi del caso soggiace al sistema sanzionatorio in questione.
Naturalmente il vizio genetico di detto sistema sanzionatorio è palese.
La legge 431, seppure rinnovata nell'attuale testo unico,
resta puramente e semplicemente una norma di forma e non di
sostanza. Infatti, come appare bene evidente,
non viene punito lo scempio paesaggistico ambientale in se stesso
bensì la realizzazione di interventi senza il preventivo nulla osta
regionale. Il che significa a livello pratico che trattasi di una
violazione di natura preventivamente formale e soltanto poi di conseguenza
sostanziale, giacché laddove il nulla osta fosse in ipotesi rilasciato
anche per un'opera che rappresentasse un enorme scempio paesaggistico
ambientale di fatto ma fosse assentita dai regolari atti della pubblica
amministrazione detto sistema sanzionatorio specifico, stante la sua
formulazione, certamente non
scatterebbe. Anzi, il condizionale è fuorviante, perché fino ad oggi di
fatto non è scattato. Registriamo infatti sul nostro territorio in
passato e a tutt'oggi nulla osta criticabilissimi rilasciati dalla
pubblica amministrazione per opere che in se stesse costituiscono scempio
paesaggistico ambientale ma, essendo regolarmente autorizzate sia a
livello regionale che a livello comunale poi con la concessione, non danno
luogo certamente a nessun tipo di illecito e questo sistema sanzionatorio
specifico non è mai scattato e non potrebbe scattare. Sono fatte salve
naturalmente le sanzioni dell'articolo 734 del Codice Penale sul quale
svolgeremo poi qualche riflessione parallela.
Va
sottolineato che "(...) il reato previsto dall'art. 1 sexies (precedente norma, oggi art. 163 T.U. - ndr) ha carattere formale e
di pericolo, e per la consumazione di esso, non si richiede il
danneggiamento, il deturpamento o l'alterazione dei luoghi, dacché il
vincolo posto su certe parti del territorio nazionale ha una funzione
prodromica al governo del territorio stesso." (Cass. pen. sez. III,
27 settembre 1995, n. 9879) e che “ (...)
la contravvenzione prevista dall'art. 1 sexies L. 8 agosto 1985, n.
431 (precedente norma, oggi art. 163 T.U. - ndr)
integra una ipotesi di reato di pericolo che può dirsi verificata
con la sola realizzazione di lavori in area sottoposta a vincolo
paesaggistico e costituisce una ipotesi autonoma ed indipendente da quella
prevista dall'art. 20 della L. 28 febbraio 1985, n. 47" (Cass. pen.
sez. III; 24 ottobre 1995, n. 10557). Comunque
la P.G. deve operare
un accertamento concreto della
sussistenza della distruzione o alterazione delle bellezze naturali e
dell’ambiente in senso biologico perché se é vero che il reato in
questione é formale é viene integrato dal mancato ottenimento del
nulla-osta regionale (“La contravvenzione di cui all'art. I sexies (precedente
norma, oggi art. 163 T.U. - ndr)
ha natura di reato di pericolo, in quanto è sufficiente
l'accertamento della mancanza del provvedimento amministrativo. ai fini
della sua configurabilità.” Cass. pen. sez. III, 5 aprile 1994. n.
3957), é pur vero che non
ogni intervento sul territorio é soggetto a detto nulla-osta; dunque
accertare e documentare che l’opera ha causato un danno estetico-visivo
equivale implicitamente a dimostrare che quell’opera era, per la sua
portata ed incidenza estetico-ambientale, di per se stessa soggetta al
vincolo appunto perché impegnativa sotto il profilo territoriale.
Peraltro il reato concorrente di cui all’art.
734 C.P. non
viene automaticamente integrato, come quello citato art. 163 T.U.
con il formale omesso ottenimento del nulla osta, ma
trattandosi di reato di sostanza e non di forma va precisato che non
sempre con la modificazione di un luogo si verifica un'alterazione della
bellezza panoramica ed estetica ai fini del reato stresso (in quanto se
essa si attua in modo tale da non modificare la bellezza naturale
complessiva, l'illecito de quo non è configurabile); sul punto si veda:
“la contravvenzione di cui all'articolo 734 del Cp si configura come un
reato di danno concreto e non di pericolo (o di danno presunto),
richiedendo per la sua punibilità che si verifichi in concreto la
effettiva e reale distruzione ovvero il deturpamento o l'occultamento
delle bellezze naturali protette. Pertanto non è sufficiente per
integrare gli estremi del reato né l'esecuzione di un'opera né la
semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo,
ma occorre che tale alterazione abbia effettivamente determinato la
distruzione o il vincolo delle bellezze naturali." (Cass. Pen.
Sezione III, sentenza 14 luglio-7 settembre 1995 n. 9486-Pres. Glinni;
Rel. Franco). Nel
caso di lavori avviati in
area vincolata da colui che
è in possesso soltanto dell'autorizzazione regionale
(ritenendo che tale atto sia sufficiente per essere autorizzato ai
lavori), si osserva che in realtà l'autorizzazione
regionale se è propedeutica al rilascio della concessione
urbanistico-edilizia comunale da sola non ha valore assoluto per opere di
qualunque natura che comportino un mutamento definitivo e rilevante
dell'assetto urbanistico-territoriale e dunque è del tutto inutilizzabile
in se stessa per giustificare un avvio dei lavori. Va
sottolineato e ribadito il principio in base al quale con la sentenza di
condanna è obbligatorio l'ordine contestuale di remissione in pristino
dello stato dei luoghi a cura e spese del condannato. Tale principio
rappresenta uno degli elementi portanti della normativa sui vincoli in
quanto costituisce, al di là dell'aspetto meramente repressivo e
sanzionatorio, una
importantissima pratica conseguenza per la salvaguardia dell'ambiente
naturale. Il
successivo articolo 164 delinea
le procedure per lo sviluppo dell'ordine di remissione in pristino di
natura amministrativa : “1.
In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti da questo
Titolo, il trasgressore è tenuto, secondo che la regione ritenga più
opportuno, nell'interesse della protezione dei beni indicati nell'articolo
138, alla rimessione in pristino a proprie spese o al pagamento di una
somma equivalente al maggior importo tra il danno arrecato e il profitto
conseguito mediante la trasgressione. La somma è determinata previa
perizia di stima. 2.
Con l'ordine di rimessione in pristino è assegnato al trasgressore un
termine per provvedere. 3.
In caso di inottemperanza, la regione provvede d'ufficio per mezzo del
Prefetto e rende esecutoria la nota delle spese. 4.
Le somme riscosse a norma del comma 1 sono utilizzate per finalità di
salvaguardia, interventi di recupero dei valori ambientali e di
riqualificazione delle aree degradate”. Va
rilevato che nell'articolo 163 è altresì previsto che copia della
sentenza viene trasmesso alla Regione e al Comune nel territorio in cui è
stata commessa la violazione. Ma i due concetti non vanno
assolutamente confusi. Infatti,
la procedura di cui all'articolo 164 deve essere intesa
come assolutamente autonoma rispetto al sistema sanzionatorio del
precedente articolo 163 e non si può generare equivoco dal fatto che la
sentenza di condanna va trasmessa anche agli enti amministrativi.
Infatti, l'iter dell'ordine di remissione in pristino previsto
dall'articolo 164 evidentemente si riferisce alla naturale evoluzione
dell'attività autonoma preventiva della pubblica amministrazione che
dovrebbe essere in realtà esaustiva rispetto alla successiva procedura
penale. Invece l'ordine impartito dal magistrato nella sentenza di
condanna ha carattere squisitamente giurisdizionale e non può essere
demandato poi quanto ad esecuzione alla pubblica amministrazione (nel caso
di specie alla Regione). Dunque le due procedure sono e restano distinte.
In realtà quando giunge l'ordine del magistrato la procedura
amministrativa preventiva di competenza della pubblica amministrazione
(come del resto anche nella ordinaria normativa urbanistico - edilizia
prevista dalla legge n. 47/85) dovrebbe essere stata ormai esaurita e,
in teoria, l'abbattimento e/o rimessione in pristino già
effettuata. Talché l'ordine del magistrato dovrebbe essere superfluo. In
realtà detto ulteriore ordine è di principio soltanto aggiuntivo e
surrogativo rispetto a una situazione iniziale di inerzia della pubblica
amministrazione che nelle more del dibattimento penale non è riuscita a
concludere il proprio più veloce iter amministrativo. Dunque sarebbe
irrealista l'ipotesi che l'ordine del magistrato penale di natura
giurisdizionale così inquadrato vada poi a riversarsi (e quindi
sostanzialmente ad esaurirsi) ancora una volta nel contesto dell'attività
amministrativa che aveva visto già fallire la propria procedura di
abbattimento e rimessione in pristino. In realtà le due previsioni sono
del tutto dissimili e quella prevista dall'articolo 163 comporta
conseguenze ben più penetranti perché puramente giurisdizionali rispetto
a quella squisitamente amministrativa prevista dall'articolo 164. Vediamo
qualche riflessione importante in ordine alla rimessione in pristino
ordinata dal giudice ex articolo
163 nuovo testo unico. Seguendo
il criterio già fissato con l’ordine di demolizione della legge n. 47
del 1985, il nuovo T.U. prevede
parallelo importantissimo principio:
l'obbligo per il giudice penale, in caso di opere eseguite in
violazione del regime del vincolo, di ordinare la remissione in pristino
dello stato dei luoghi. Concetto
ben più completo ed organico rispetto alla semplice demolizione prevista
dalla legge urbanistico-edilizia, trattandosi
di legge destinata a tutelare habitat e paesaggi nella loro integrità
topografica ed ambientale, oltre che estetica e visiva. Sul
punto registriamo due principi molto importanti. In
primo luogo l’ordine di
remissione in pristino dello stato dei luoghi deve essere
obbligatoriamente inserito dal giudice anche nella sentenza di
patteggiamento: "L'ordine di rimessione in pristino dello
stato originario dei luoghi a spese del condannato, previsto dal secondo
comma delI'art. I sexies L. n. 431 del 1985 (cosiddetta legge Galasso), va
impartito dal giudice anche nel caso di applicazione della pena su
richiesta delle parti, non trovando applicazione il disposto del primo
comma dell'art. 445 c.p.p. 1988 in quanto l'ordine suddetto, lungi dal
rappresentare una pena accessoria, va collocato fra le sanzioni di
carattere amministrativo irrogabili dal giudice ordinario.”
(Cass. pen., sez. III, I marzo 1991, n. 2695, Ventura. );
"L'ordine di remissione in pristino dello stato originario dei luoghi
a spese del condannato, previsto dal secondo comma dell'articolo 1-sexies
della legge 431/1985, non costituisce affatto una pena accessoria, per cui
non trova applicazione
l'invocato disposto dell'articolo 445, comma 1, del Cpp, ma va collocato
tra le sanzioni di carattere amministrativo irrogabili dal giudice
ordinario." (Cass. pen. Sezione III, sentenza 5 luglio - 7 settembre
1995 n. 9422 - Pres. Glinni; Rel. De Maio) Non
solo. Ma il principio é stabilito dalla Cassazione in modo talmente
inequivocabile ed imperativo che la Suprema Corte giunge a sancire che ove
il giudice non adempia a tale obbligo in luogo dell’annullamento della
sentenza il Supremo Collegio provvederà direttamente ad integrare la sentenza
irregolare apponendovi l’ordine in questione: "L'ordine di
rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato
previsto dall'art. 1 sexies della L. 8 agosto 1985, n. 431, in relazione
alla violazione formale della realizzazione di opere di modificazione dei
luoghi sottoposti al vincolo ambientale in assenza della prescritta
autorizzazione, non comportando alcuna decisione di merito, stante la sua
assoluta obbligatorietà, può essere adottato dalla Corte di Cassazione a
norma dell'art. 620, lettera 1), allorché sia stato omesso dalla
decisione impugnata." (Cass.
Pen. sez. VI, 13 gennaio 1994, n. 195 Pres. Vessia - Est. Albamonte ). L’orientamento
della Suprema Corte è rimasto nel tempo immutato su tale principio; si
veda per tutte Cassazione
Penale - Sezione III - Sentenza del 18 febbraio 1998 n. 64 - P.M. in proc.
Corrado F.). In ordine specifico alla legge 431/85 si veda: “ L'ordine
di rimessione in pristino dello stato dei luoghi disciplinato dall'art. 1
sexies della legge 8 agosto 1985, n. 431, avendo natura non di pena
accessoria, ma di sanzione amministrativa, la cui applicazione è una
conseguenza obbligata della sentenza di condanna, deve essere disposto
anche a seguito della sentenza di "patteggiamento", che è
equiparata alla sentenza di condanna ad ogni effetto non espressamente
escluso dalla legge o che non presupponga un accertamento cognitione plena della
responsabilità penale. A nulla rileva che esso non abbia formato oggetto
dell'accordo, trattandosi di atto dovuto e sottratto alla disponibilità
delle parti, del quale l'imputato deve tener conto nell'attivare la
procedura alternativa in questione.” (Cassazione Penale - Sezione VI -
Sentenza del 13 marzo 1998 n. 3228 - P.G. in proc. Poli C.). Rileviamo
ancora, e questo é concetto di maggiore interesse diretto per la P.G.,
che la Corte di
Cassazione ha stabilito che l'esecuzione
pratica dell'ordine di remissione in pristino dello stato dei luoghi in
questione non deve essere rimessa al sindaco bensì deve essere attuata
direttamente dall'autorità giudiziaria (P.M.) . Il
principio é parallelo e sinergico rispetto alla competenza del PM
tracciata per l’ordine di demolizione nel
capitolo precedente. Infatti in relazione all'ordine di demolizione
previsto dalla legge 47/85 le Sezioni Unite della Suprema Corte
hanno infatti stabilito "la natura di provvedimento giurisdizionale
all’ordine di demolizione, con la conseguenza che ne é demandata
l’esecuzione al pubblico ministero ed al giudice dell’esecuzione
secondo i rispettivi ruoli" e precisano che "la giurisdizione
dell’autorità giudiziaria ordinaria
riguardo all’esecuzione dell’ordine di demolizione é
conseguente alla caratterizzazione che tale provvedimento riceve dalla
sede in cui viene adottato,
non essendo neppure ipotizzabile che l’esecuzione di un provvedimento
adottato dal giudice venga affidata alla pubblica amministrazione" e
dunque "l’organo promotore dell’esecuzione va identificato
nel pubblico ministero"; precisano
che "la cancelleria del giudice dell’esecuzione deve
provvedere al recupero delle spese del procedimento di esecuzione nei
confronti del condannato previa eventuale garanzia reale a seguito di
sequestro conservativo imposto su beni dell’esecutato" (Cass. Pen.
Sezioni Unite - c.c. 19/6/96 n. 15 - Pres. Callà - Rel Albamonte). Va
rilevato che Cass. pen. Sez. III, 28 gennaio 1993, n. 21
Pres. Papillo - Est. Montoro estendeva già il concetto anche all’ordine di
rimessione in pristino della “legge-Galasso”; infatti nella
motivazione della citata sentenza si avvalora l'estendibilità del
concetto ai reati previsti dalla legge 431/85, assegnando anzi a detti
illeciti natura ancor più diretta in ordine a detta attività di
rimessione in pristino come direttamente
attuabile ad opera del
magistrato. Infatti la Suprema Corte stabilisce addirittura che
" (...) l'ordine di demolizione attiene al settore
edilizio-urbanistico, disciplinato non in via primaria-fondamentale
nell'assetto costituzionale; quello di ripristino paesaggistico ha invece
una evidente incidenza costituzionale, essendo diretta espressione del
ricordato art. 9. (.. .)". Ed aggiunge poi: " (...) La mancata
introduzione di una subordinazione dell'ordine del magistrato penale alla
inerzia della Amministrazione ha un preciso significato: la assoluta
autonomia dei due provvedimenti. Così, ad esempio, se in un bosco viene
realizzata una qualsiasi struttura ed abbattuti gli alberi, mentre
l'amministrazione potrà soltanto eliminare l'immobile, l'autorità
giudiziaria dovrà anche ordinare il ripristino delle piante. Risulta ora
evidente la differenza strutturale dei due provvedimenti.
L'ordine de quo inoltre non è espressione di una attività di
supplenza, assegnata legislativamente al giudice nel caso di inerzia della
P.A., ma è esercizio di un potere riservato in modo autonomo e
concorrente con quello dell'amministrazione stessa. Anzi in qualche caso
è <<esclusivo>> dell'autorità giudiziaria, come in ogni
ipotesi in cui non vi siano <<demolizioni>> da compiere (unico
contenuto - come detto dell'ordine amministrativo). E' pertanto da
escludere che esso possa essere annoverato tra le sanzioni amministrative.
Può, al termine dell'excursus fin qui svolto, individuarsi l'articolato e
complesso meccanismo sanzionatorio, che si delinea in modo abbastanza
chiaro. Attraverso successive stratificazioni legislative si è creata una
duplicità di interventi repressivi: uno riservato alla P.A. e l'altro
all'A.G. Nella materia paesaggistica però il legislatore - vista la
scarsa applicazione concreta dell'ordine amministrativo di demolizione -
ha conferito al giudice penale non più un potere meramente surrogatorio,
ma primario ed esclusivo, svincolato da ogni altro concorrente. Esso è
stato però limitato al solo caso in cui venga pronunziata una
<<sentenza di condanna>>. In questa ipotesi - pur senza
escludere l'intervento ad adiuvandum dell'Amministrazione - il legislatore
ha conferito il compito al magistrato penale, che deve ordinare il
ripristino dei luoghi. Consequenziale è evidentemente l'esecuzione penale
del provvedimento con l'esclusione - questa volta - di ogni diversa forma
di esecuzione medesima. (...)" E
dunque la Suprema Corte stabilisce chiaramente che ancor più che l'ordine
di demolizione previsto dalla legge 47/85, soprattutto l'ordine di
rimessione in pristino previsto dalla legge 431/85 deve essere eseguito in
via giudiziaria penale e quindi dal PM. Il concetto resta naturalmente
immutato in ordine all’evoluzione nell’art. 163 nuovo T.U.
Ed
il concetto é ancora più specificamente espresso nei passi successivi
della sentenza, ove la Cassazione ribadisce che " (...)
deve (...)
confermarsi la natura penale della sanzione de qua. (...)
Quest'ultima è applicata dal magistrato penale; è autonoma e più ampia
rispetto a quella amministrativa; consegue a sentenza di condanna.
(...)". Ed infine sottolinea: " (...)Non si vede, quindi, perché
proprio l'autorità giudiziaria non potrebbe eseguire l'ordine da lei
stessa dato; in definitiva neanche la tanto conclamata funzione di
supplenza vi osta, essendo la stessa - a ben riflettere - concettualmente
incompatibile con la pretesa assolutezza della riserva amministrativa in
materia.(...)". Va
sottolineato che successivamente alla citata pronuncia delle Sezioni Unite
l’orientamento della Suprema Corte sul tema è rimasto poi costante; si
veda per tutte: Cassazione Penale - Sezione II - Sentenza del 1° dicembre
1998 n. 12647 - Simeone). Si
ritiene dunque pacifico il
concetto che vuole l'ordine di remissione in pristino dello stato dei
luoghi a spese del condannato debba eseguito dal PM competente dopo il
passaggio in giudicato della sentenza.
Per le modalità esecutive l’attività di fatto può essere
eseguita da personale idoneo di P.G. o dipendente da ente pubblico sotto
il controllo di organo di P.G. delegato dal PM. Con questo
principio, al pari di quello analogo stabilito per l’ordine di
demolizione, si demanda al pubblico ministero l'esecuzione dell'ordine di
remissione in pristino dello stato dei luoghi e con l'ausilio della forza
pubblica e si supera così di netto la fase di stallo che spesso si genera
in materia da parte dell'amministrazione comunale. Le
Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione hanno stabilito, inoltre,
con una importantissima sentenza che il Pretore può subordinare il
beneficio della sospensione condizionale della pena all'obbligo di
abbattimento delle opere abusive in caso di condanna per violazioni alla
normativa urbanistico edilizia. Si legge infatti nella motivazione
della sentenza Cass.
pen. Sez. Unite n. 10 del
3/2/97 (udienza 20/11/96) Presidente Scorselli - estensore Albamonte -
che "va affermato che il Giudice, nel concedere la sospensione
condizionale della pena inflitta per il reato di esecuzione di lavori in
assenza di concessione edilizia o in difformità, legittimamente può
subordinare detto beneficio all'eliminazione delle conseguenze dannose del
reato mediante demolizione dell'opera eseguita, disposta in sede di
condanna del responsabile. L'ordine di demolizione, come affermato da
queste Sezioni Unite (sentenza P.M. in procedimento Monterisi), ha natura
di provvedimento giurisdizionale accessivo alla statuizione della
condanna, emesso sulla base dell'accertamento dell'attuale conservazione
dell'opera offensiva dell'interesse tutelato. E` di spettanza degli organi
preposti all'esecuzione del giudicato l'accertamento dell'adempimento
dell'obbligo imposto nel termine della sentenza o fissato dallo stesso
Giudice dell'esecuzione su richiesta del Pubblico Ministero. A
seguito dell'inadempimento il Giudice della esecuzione provvederà alla
revoca (di carattere non automatico ancorché che obbligatoria) del
beneficio condizionato (articolo 168 comma primo Codice di Procedura
Penale)". Anche
in ordine a tale principio va sottolineato che successivamente alla citata
pronuncia delle Sezioni Unite l’orientamento della Suprema Corte è
rimasto poi costante (cfr. Cassazione Penale - Sezione feriale - Sentenza
del 30 settembre 1998 n. 10309 – Consoli); in ordine alla legge sui
vincoli si veda in modo specifico ad
esempio: “In tema di protezione delle bellezze naturali deve
ritenersi legittima la subordinazione della sospensione condizionale della
pena all'ordine di rimessione in pristino previsto dall'art. 1 sexies
della legge 8 agosto 1985 n. 431. Infatti è sicuramente possibile
l'utilizzazione del disposto dell'art. 165 c.p., rivolto a rafforzare il
ravvedimento del condannato, poiché la non autorizzata immutazione dello
stato dei luoghi, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, ben può
comportare conseguenze dannose o pericolose; inoltre la sanzione specifica
della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene
offeso e quindi si riconnette al preminente interesse di guistizia sotteso
all'esercizio dell'azione penale. Peraltro l'obbligo di ripristino si
colloca su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello dei poteri della
pubblica amministrazione e delle valutazioni della stessa, configurandosi
come conseguenza necessaria sia dell'esigenza di recuperare l'integrità
dell'interesse tutelato, sia del giudizio di disvalore che il legislatore
ha dato all'attuazione di interventi modificativi del territorio in zone
di particolare interesse ambientale." (Cassazione Penale - Sezione
III - Sentenza del 3 aprile 1998 n. 4135 - Settimi). |
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