Importante contributo sul decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490



Il successivo articolo 152 riguarda "gli interventi non soggetti a autorizzazione". Trattasi in realtà di quelle deroghe che la normativa pregressa ed attuale (sostanzialmente e perfettamente identica) ritengono di poter distogliere dal rispetto del regime amministrativo del nulla osta preventivo in quanto evidentemente tale attività non vada a incidere sostanzialmente sull'aspetto paesaggistico - ambientale delle aree in questione. Recita infatti l'articolo in questione:

“1. Non è richiesta l'autorizzazione prescritta dall'articolo 151:

a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici;

b) per gli interventi inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio;

c) per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati alla lettera g) dell'articolo 146, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia.”.

Si tratta di argomenti di prioritaria importanza.

Quanto alle ristrutturazioni, va evidenziato che la norma esclude espressamente dal proprio campo di applicazione tali attività, partendo dal logico e giusto presupposto che la ristrutturazione è pur sempre una attività che incide su un manufatto già esistente nell’area protetta e dunque ha scarsa incidenza sugli aspetti paesaggistici e naturali. Pertanto la concessione per ristrutturazione viene resa esente dalla pratica per il nulla osta del vincolo. Tutto ciò, comunque, presuppone che effettivamente su quel territorio specifico esista il vecchio manufatto che deve essere ristrutturato e, dunque, l’incidenza effettivamente estetica ed ambientale appare limitatissima. La maggior parte dei comuni hanno interpretato questa norma come una scorciatoia per favorire la nascita di nuovi manufatti in cemento in piene aree vincolate. Si sono infatti inventati il concetto della “ristrutturazione” di manufatti non più esistenti sul territorio, ma semplicemente accatastati a livello di cubatura presso gli uffici comunali e con tale sistema hanno rilasciato concessioni per ristrutturazioni in area vincolata saltando integralmente tutta la relativa procedura. Il paradosso è stato, ad esempio, che in pieno bosco di fatto non esisteva più neanche un mattone dell’opera da ristrutturare. Però la casa di un vecchio carbonario risultava regolarmente accatastata come cubatura negli atti comunali. Si è  cominciato dunque a rilasciare concessioni per “ristrutturare” tali cubature di fatto inesistenti con opportuni ampliamenti e modifiche. Sono così sbocciate in pieni boschi o altre aree protette villette colorate in cemento armato spacciate come opere di “ristrutturazione”. Il vantaggio è stato doppio. Concessione di minore spesa e importanza amministrativa e soprattutto la possibilità di superare integralmente la prassi Galasso con la dicitura della ristrutturazione anziché dalla costruzione ex novo. Queste ed altre furbizie similari hanno determinato di fatto il ridicolo sgonfiamento della normativa laddove l’organo di vigilanza di polizia giudiziaria si è trovato inibito a fronte di tali costruzioni, legittimate apparentemente dal regolare timbro comunale. Infatti, laddove la villetta colorata è sbocciata in pieno bosco, l’organo di P.G. si è trovato opposto comunque una concessione regolarmente firmata dal Sindaco. Non è certo né compito né potere né degli organi di polizia giudiziaria né del magistrato penale poter sindacare un atto amministrativo illegittimo e dunque, di fatto, le illegittimità hanno favorito illegalità penali fortemente sostanziali e tutto ciò ha contribuito a vanificare completamente gli effetti della legge Galasso, anzi sfruttandone addirittura alcune previsioni per favorire paradossalmente le speculazioni e le violazioni croniche sul territorio.

 Circa invece il taglio colturale dei boschi, va osservato che sussiste da sempre un contrasto pratico e di principio tra applicazione della normativa sui vincoli paesaggistici e Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale con particolare riferimento a controversi tagli di territori boscati.

Sulla scorta della rinnovata normativa  appare confermato il concetto in base al quale il taglio colturale appare esente dal regime vincolistico, purché, tuttavia, si badi, siano interventi previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia.

Tradotto in termini pratici il concetto é chiaro ed anche logico: esistono normative specifiche in materia forestale (vedi in primissimo luogo le “Prescrizioni di massima e di polizia forestale” derivate dall’art 9 e 1O R.D. 3267/23) che disciplinano, tra l’altro, la materia del taglio dei boschi e dettano regole di controllo preventivo. Ove dette regole siano rispettate appare conseguente che il territorio boscato non potrà subire alterazioni di tipo stridente con le finalità del  “vincolo-Galasso” perché trattasi di attività operate sotto preventivo esame del Corpo Forestale dello Stato (vedi “martellata”) che é un organo specificamente tecnico e dunque in grado di inibire a priori danni antitetici alla buona conservazione ambientale.

E conseguentemente tali attività sono state lasciate esenti dal regime vincolistico.

Tuttavia appare necessario delineare alcuni punti fermi di principio onde poter circoscrivere compiutamente gli interventi così esenti dal vincolo e gli interventi che, invece, pur essendo  apparentemente similari, devono invece soggiare al regime vincolistico in questione.

Va evidenziato che le “Prescrizioni di massima e di polizia forestale” e la legislazione sui vincoli non sono due normative che possono integrarsi perfettamente ed essere applicate sempre in perfetta sintonia perché trattasi di due norme varate in tempi storici-ambientali diversi e soprattutto con finalità ben diverse se non addirittura opposte.

Le “Prescrizioni di massima e di polizia forestale” appartengono ad un concetto giuridico che vede il bosco come entità produttiva legnosa o comunque commerciabile e prevedono una gestione del territorio boscato  sotto l’ottica precipua tali finalità ed ogni dettato é coerente con detta modulazione di fondo: conservare sì il bosco ma come realtà produttiva e commerciale  senza risvolti pregiudiziali di carattere territoriale-ambientale a parte la tutela da un punto di vista idrogeologico per la stabilità dei versanti.

La legge sui vincoli  nasce con finalità antitetiche: i territori coperti da foreste e da boschi (come del resto tutti gli altri territori vincolati) sono tutelati non nel loro aspetto produttivo bensì nel loro aspetto paesaggistico-ambientale ed ecologico in senso lato. In altri termini si vuole tutelare il bosco non in quanto fonte di produzione di legno e legname ma, al contrario, in quanto bellezza paesaggistica e panoramica da un lato e bene biologico-ambientale dall’altro. Per la legge sui vincoli il bosco non é legname ma natura, ecosistemi integrati complessi, componente primaria del paesaggio.

Ed ecco che, dunque, le due normative corrono parallele fino ad un punto di rottura nel quale le concezioni di fondo prendono strade radicalmente diverse; per le “Prescrizioni di massima e di polizia  forestale”  un albero troppo vecchio é inutile sotto il profilo della produzione dell’azienda-bosco e dunque é possibile abbatterlo mentre per la legge sui vincoli lo stesso albero é un bene prezioso sia sotto il profilo paesaggistico  ma soprattutto sotto il profilo biologico-ambientale (perché, ad esempio, é proprio nel vecchio tronco centenario che trovano albergo ecosistemi di molteplice natura tra i quali, ad esempio, nidi e tane di volatili e mammiferi di varie specie) cosicché l’abbattimento del vecchio tronco, possibile per le Prescrizioni di massima, diventa palesemente antitetico per la legge sui vincoli.

Ed il taglio del bosco a fini colturali é il terreno di potenziale maggiore  frizione  tra le due normative.

Si possono conciliare i due testi di legge con le rispettive finalità fino a punto in cui il taglio colturale sia  realmente e modestamente tale. In questo taglio parte del verde scompare ma non del tutto; l’aspetto biologico-ambientale é salvo perché il bosco tecnicamente é destinato a rigenerarsi e dunque non si crea un danno relativo; l’aspetto paesaggistico-visivo (indubbiamente il territorio dopo il taglio muta aspetto sostanziale perché il bosco non é più folto) seppur sofferente a primo impatto tende ad essere mitigato nella prospettiva della rigenerazione del manto verde che non é poi del tutto sradicato come componente territoriale.

Ma vi é un punto oltre il quale un taglio eccessivo stravolge troppo drasticamente sia il paesaggio (come aspetto visivo) che l’ambiente (come catena biologica degl ecosistemi interconnessi nei suoi delicati equilibri)  e da questo limite in poi seppur tutto é regolare secondo le “Prescrizioni di massima e di polizia forestale” l’intervento stride con le finalità della normativa sui vincoli  ed allora si ritiene che detto taglio, oltre che alle “Prescrizioni di massima e di polizia forestale” che vivono in settore proprio ed autonomo rispetto alla legge sui vincoli, sia soggetto anche al regime vincolistico e quindi al nulla-osta regionale.

Il punto di dibattito concettuale é, naturalmente, l’individuazione di questo limite di confine. Ed in altre parole va inquadrato con esattezza il concetto di taglio colturale.

La Corte di Cassazione ha fornito già un utile e logico parametro interpretativo con una importante sentenza: "I territori coperti da foreste e da boschi, ancorché danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, sono assoggettati a vincolo paesaggistico a norma della legislazioni sui vincoli e su di essi é consentito soltanto il taglio colturale, la forestazione ed altre opere conservative, sempreché autorizzati preventivamente. In base all'articolo predetto, comma 1 lettera G e 8, l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale sui terreni sopraindicati deve  essere specificamente autorizzato, con nulla osta regionale allorché comporti una alterazione permanente dello stato dei luoghi o dell'aspetto idrogeologico del territorio, a prescindere dall'esistenza o meno di costruzioni edilizie o di altre opere, come avviene allorché venga effettuato il taglio a raso delle piante, che non rientra nell'ordinario taglio colturale in quanto interessa tutte le piante e non una parte di esse ed é idoneo per le sue caratteristiche ad esporre a pericolo il sistema ambientale interessato nelle sue molteplici componenti estetiche e naturalistiche” (Cass. Pen. sez. III - 3O/11/88 - Rel. Postiglione - Imp. Poletto)

Il concetto sancito dalla Suprema Corte é chiaro. Il taglio a raso é soggetto a vincolo proprio perché stravolge completamente il territorio sia nell’aspetto paesaggistico-visivo che in quello biologico ambientale. Realisticamente un taglio  raso, seppur autorizzato dalle “Prescrizioni di massima e di polizia forestale”, fa sì che laddove ieri c’era un manto verde (che si apprezzava come tale  già alla vista e svolgeva precise funzioni biologiche) oggi non vi é di fatto più nulla se non un territorio del tutto disboscato.

E’ vero che le “Prescrizioni di massima e di polizia forestale” impongono di lasciare sul posto un certo numero di matricine per ettaro ma in termini pratici significa che laddove ieri si apprezzava visivamente un folto bosco compatto oggi si notano  a malapena alcuni isolati piccoli fusti di ben modesto valore estetico ed ambientale.

E dunque ecco uno dei casi nei quali, con certezza stante la citata pronuncia della Suprema Corte, il dissidio tra Prescrizioni di massima e legge sui vincoli é ufficializzato e pertanto per operare un taglio a raso sarà necessario il nulla-osta regionale e non soltanto l’autorizzazione del Corpo Forestale dello Stato sulla base delle citate Prescrizioni di massima.

Come concetto tecnico di taglio a raso (che in senso lato può essere interpretato come taglio colturale) va inteso in tale contesto l’asportazione complessiva o totale di tutti i fusti incidenti sull’area.

Vi sono tuttavia altri casi in cui di fronte ad un taglio apparentemente colturale in realtà l’attività deve essere considerata soggetta al regime vincolistico.

Se il taglio colturale é autorizzato “in base alle norme vigenti in materia”, come richiede la norma sui vincoli  e quindi gode dell’autorizzazione della Forestale, l’attività deve essere considerata esente dal regime vincolistico.

Ma se detta attività non viene affatto autorizzata  “in base alle norme vigenti in materia” o se invece, dopo aver ottenuto detta  autorizzazione, il taglio viene eseguito in modo difforme e più esteso in modo sostanziale e di fondo (al di là dell’abbattimento errato di poche ed isolate piante che darà origine soltanto ad infrazione amministrativa) allora si deve dedurre che i parametri stretti delineati da citato art. 1/comma quinto legge 431/85 sono stati superati e pertanto decade l’eccezione dell’esenzione dal regime vincolistico e tale taglio rientra nel regime autorizzatorio e se manca il nulla-osta regionale integra il reato di violazione della normativa sui vincoli.

Circa il taglio di piante in esubero, il confine tra semplice violazione amministrativa alle PMPF ed invece la violazione alla  sui vincoli va rimessa in prima istanza alla prudente e competente valutazione del personale del CFS il quale dovrà tener conto di una serie di elementi in stretta sinergia e tra questi:

= il numero delle piante tagliate;

= il rapporto quantitativo  proporzionale tra piante autorizzate al taglio e quelle in esubero irregolare;

= la qualità delle piante tagliate in modo irregolare e la conseguente incidenza del taglio in esubero nel contesto dell’assetto paesaggistico ed ambientale dell’area;

= la situazione generale di fondo del territorio interessato con specifico riferimento anche alle caratteristiche naturalistiche dello stesso (sottolineando se trattasi di area di importanza primaria sotto il profilo paesaggistico ed ambientale o meno).

Spesso, inoltre, durante il taglio si verifica un caso di trasformazione ed alterazione dello stato dei luoghi in un territorio boscato soprattutto attraverso le opere a supporto del taglio e più esattamente mediante l’ampliamento non autorizzato di vecchie piste di esbosco e la realizzazione di nuovi tracciati di percorribilità per far transitare ed operare i mezzi meccanici destinati al taglio stesso.

Il risultato é che laddove prima dell’inizio dell’opera di taglio non vi erano tracciati di percorribilità meccanica, o semmai ve ne erano in modo limitato ed isolato, dopo l’intervento in questione il territorio boscato si presenta, oltre che drasticamente diradato per il taglio stesso, soprattutto stravolto nella sua componente urbanistica e paesaggistica dalla serie di tracciati in questione che aprono nuove ipotesi di percorribilità.

Va premesso in linea generale che, in antitesi ad alcune teorie dottrinarie di opposta tendenza, é pacifico in giurisprudenza che la realizzazione di una strada in generale comporta la necessità del preventiva rilascio della concessione urbanistico-edilizia, e non della semplice autorizzazione, del Comune. Questo non solo nel caso di una strada asfaltata in senso lato, ma anche nell’ipotesi di una strada campestre o in terra battuta.

 E dunque deve argomentarsi che anche per realizzare una strada é necessaria la concessione urbanistico-edilizia, sia che si tratti di strade asfaltate che bianche od anche semplicemente campestri.

Cristallizzato dunque tale principio di fondo, dobbiamo analizzare inevitabilmente il regime giuridico delle strade nei territori boscati e le diverse sfumature terminologiche in tal settore vigenti con particolare riferimento alle cosiddette”piste di esbosco”.

Premesso quanto sopra, consegue che per realizzare una strada all’interno di un territorio boscato, essendo quest’ultimo sottoposto a vincolo paesaggistico-ambientale sulla base della legge n. 431/85, occorre non solo la concessione urbanistico-edilizia del Comune ma, ancor prima, lo speciale nulla-osta della Regione che consenta di operare appunto in zona vincolata sotto il profilo paesaggistico-ambientale.

Vige in questo campo spesso un equivoco terminologico  tra “strade” e “piste da esbosco”, sostenendo alcune teorie dottrinarie che queste ultime sono di libera realizzazione o che comunque siano al massimo soggette ad una autorizzazione della Comunità Montana; sia che si tratti di una “pista” da realizzare ex novo sia che si tratti di una ripulitura di una vecchia “pista” esistete.

Il punto é fondamentale e merita chiarimento, perché possono verificarsi due ipotesi.

Ove quest’opera classificata “pista” sia da realizzare ex novo su un terreno boscato integro e sul quale non vi sia traccia pregressa di vecchi sentieri, consegue che detti lavori deono considerarsi a tutti gli effetti finalizzati a realizzare un'opera che comporta comunque una innovativa modificazione rilevante e definitiva dell'assetto urbanistico-territoriale della zona; il punto fondamentale é che si tratti di una nuova entità sul territorio che comporti una alterazione rilevante dello stesso e non il nome che si vuole riconoscere a quest’opera. Così per aprire un “tracciato” percorribile con mezzi meccanici all’interno di un bosco (caso classico: cosiddetta “pista da esbosco”) deve ritenersi necessaria la concessione, in modo peraltro del tutto indipendente dal fatto che i lavori di cultura forestale possano essere perfettamente autorizzati (l’autorizzazione vale per l’esbosco in se stesso non per aprire una strada al suo servizio).

E non potrebbe essere diversamente, atteso che oggi le opere di cultura forestale e deforestazione si sviluppano inevitabilmente attraverso mezzi meccanici semoventi (tra cui ruspe, camion, etc...). Ed una sede di tracciato che consenta a tali mezzi di penetrare nel bosco, indipendentemente dalla dizione terminologica formale che si vuole applicargli, resta pur sempre una rilevante ed innovativa alterazione di fondo dell’asseto urbanistico-territoriale del territorio comunale; e dunque non può sfuggire per forza di cose al regime concessorio.

Argomentando in modo opposto si giungerebbe al paradosso che per realizzare una strada bianca in aperta campagna percorribile da un camion del tipo di quelli utilizzati per l’esbosco serve (ed é pacifica lsa Cassazione in merito...) la concessione mentre lo stesso camion, con la stessa portata e potenziale necessità di apertura stradale per circolare, appena si addentra in un bosco per recarsi sul luogo del taglio percorre una “pista” che non necessita di concessione ma può realizzarsi con il semplice atto autorizzatorio della Comunità Montana. Analogo discorso se vogliamo considerare detta “pista” come soggetta al semplice regime autorizzatorio comunale.

In  realtà l’atto della Comunità Montana é una autorizzazione che verte e vale soltanto per i settori di competenza dello stesso ente ed é propedeutica al rilascio della concessione comunale laddove si fonderà con altri atti di altri organi pubblici nel carteggio di esame della commissione edilizia e farà parte, soltanto come uno dei vari elementi costitutivi, dell’iter amministrativo che sfocerà poi nella concessione rilasciata dal sindaco quale atto finale e perfetto.

Vi é poi l’ipotesi della  “ripulitura e ripristino di vecchie piste da esbosco”.

A questo riguardo  va osservato che una vecchia pista, appunto perché vecchia, era logicamente finalizzata al passaggio di muli e dunque le dimensioni di larghezza sono modestamente proporzionate. Ripulire la vecchia pista significa estirpare la vegetazione spontanea che vi é cresciuta sopra e ripristinare il vecchio, modesto tracciato.

Per tale opera, meramente agricolo-forestale, deve intendersi sufficiente il nulla osta della Comunità Montana, senza necessità né dell’intervento regionale in ordine al vincolo paesaggistico-ambientale né dell’intervento comunale per il regime concessorio. Ed é in tal caso logico, perché sul territorio quella entità già esisteva e nulla di nuovo viene realizzato. Ma i lavori devono in tal caso limitarsi strettamente, appunto, ad effettuare un’opera di ripulitura e ripristino del vecchio modesto tracciato lasciando intatta ogni dimensione in lunghezza e larghezza. Si avrà così di nuovo in funzione un modesto percorso percorribile in genere da muli e cavalli. E dunque realisticamente del tutto inutile per un imprenditore moderno a livello macroartigianale o industriale che notoriamente disbosca con mezzi meccanici e semoventi.

Ove si tenda  ad utilizzare tale vetusto tracciato come base per sostanziosi ampliamenti al fine di produrre poi di fatto un fondo percorribile con i moderni mezzi meccanici, allora torniamo al discorso della necessità di una concessione e del nulla-osta per il vincolo paesaggistico-ambientale  per quella che é  semplicemente una strada ex novo realizzata su un vecchio percorso. Laddove il vecchio modesto sentiero non é stato semplicemente ripulito dalle erbacce e vegetazioni infestanti ma é stato utilizzato come base topografica di tracciato per realizzarvi sopra ed al posto qualcosa di ben nuovo e diverso, sia nella forma che nella finalità operativa. Ed a nulla vale in tale contesto il tentativo di differenziazione terminologica tra “pista di esbosco” e “strada” giacché tale binomio é destinato a restare un puro esercizio verbale privo di aderenza  giuridica concreta.

Va da sé, ma si ritiene di ribadire il concetto, che l’autorizzazione degli enti pubblici preposti ad un’attività di cultura forestale o di disboscamento vale soltanto per tali attività in senso stretto e non può intendersi come tacitamente autorizzata anche la realizzazione del tracciato stradale percorribile per giungere all’interno del bosco sul luogo dei lavori, essendo comunque tale tracciato soggetto in modo del tutto indipendente al regime concessorio comunale e vincolistico della normativa sui vincoli.

E’ intuitivamente logico, peraltro, che deve intendersi esente dal regime concessorio la realizzazione di un sentiero ex novo a percorribilità esclusivamente pedonale (e/o magari ciclabile e/o ippico) all’interno di un bosco, quali ad esempio i “percorsi natura” a fini turistici o didattici, per il quale torna ad essere sufficiente il nulla osta della Comunità Montana o dell’ente gestore l’area se trattasi ad esempio di un parco naturale.

Va peraltro sviluppato il concetto del regime delle autorizzazioni in materia vincolistica per lavori insistenti su un’area boscata.

E’ stato accennato che la Comunità Montana rilascia, e può rilasciare, una autorizzazione inerente esclusivamente settori di sua competenza. E riguardo al tema in esame l’autorizzazione che la Comunità Montana può rilasciare per l’apertura di una strada in un bosco riguarda esclusivamente gli aspetti forestali e di vincolo idrogeologico. Tale autorizzazione contribuisce a formare l’iter per il rilascio della concessione comunale formato da più atti-base riuniti e coagulati insieme nel provvedimento finale rilasciato poi dal sindaco.

Ben diversa é, invece, il nulla-osta per il vincolo paesaggistico-ambientale previsto dalla legge sui vincoli.

Si osserva  infine sul tema specifico che in modo del tutto indipendente dalla legittimità o meno del taglio colturale ai sensi della legge 431/85 in senso stretto, seppur ci si trovi di fronte ad un taglio colturale esente in toto dal regime vincolistico in questione sulla base di sinergie integrative tra legge statale e legge regionale, deve argomentarsi che é l’attività di taglio in se stessa che resta puramente e semplicemente esente dal vincolo e non anche le opere di supporto a tale taglio;  opere che restano soggette regolarmente alla normativa urbanistico-edilizia ed alla normativa sul vincolo paesaggistico-ambientale.

Pertanto ove il taglio colturale avvenga, in ipotesi, senza modifiche strutturali sul territorio  esso é da considerarsi esente da  autorizzazione per il vincolo dalla legge sui vincoli (salvo se la normativa regionale non disponga altrimenti in deroga); mentre ove l’imprenditore per realizzare tale taglio dovrà penetrare ed operare nel bosco con mezzi meccanici tali da essere costretto  inevitabilmente a realizzare nuovi tracciati di percorribilità, stabili o di fatto temporanei, dovrà per tali opere richiedere l’autorizzazione alla Regione per il vincolo e la concessione al Comune per la normativa urbanistico-edilizia.

Consegue ancora che laddove un taglio, seppur in ipotesi strettamente colturale e svincolato in se stesso, venga poi attuato mediante uso di mezzi meccanici pesanti per il cui uso vengono create percorribilità nuove  in modo totale o vengano ampliate vecchie piste di esbosco adeguandole alle nuove esigenze di transito, determinando ciò una alterazione stabile, definitiva e rilevante del territorio sia in senso strutturale che funzionale nonché una alterazione dell’aspetto paesaggistico ed ambientale del territorio boscato (vincolato) tutto l’intervento, visto nella sua globalità e sinergia inscindibile attuativa, diventa  eseguito in violazione delle citate leggi urbanistiche e vincolistiche in modo assorbente.

In tali casi il personale del CFS, che pure ha eseguito in precedenza la “martellata” per il taglio in senso stretto, e che pure ha rilevato a livello di puro conteggio numerico la sussistenza più o meno regolare delle matricine superstiti, si ritiene che dovrà procedere a denuncia penale a carico del responsabile del taglio perché lo stesso, seppur in regola con le PMPF o al massimo in violazione amministrativa delle stesse per movimento irregolare di terra, ha in sostanza violato il dettato protettivo vincolistico della legge sui vincoli  creando una alterazione paesaggistico-ambientale che non può più dirsi assistita da regolare autorizzazione ai sensi delle leggi e regolamenti vigenti in materia.

Va ancora tracciata qualche osservazione in ordine al taglio colturale dei boschi nei parchi ed aree protette. Infatti la norma prevede espressamente che “per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati alla lettera g) dell'articolo 146, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia.”. La lettura del testo sembra dunque voler restringere il campo applicativo della esenzione dal vincolo alle attività di taglio solo per i territori generali di cui alla lettera “g)” art. 146 mentre evidentemente tutti i territori seppur coperti da boschi e foreste ricompresi nelle aree indicate nelle altre lettere dello stesso articolo sembrerebbero essere soggetti al vincolo. Altrimenti la norma avrebbe semplicemente previsto che tutti i territori di boschi e foreste in modo  indistinto sarebbero stati esenti dal vincolo in sede di taglio. Ora, appare evidente che, ad esempio, che nell’art. 146 sono indicati in altre lettere territori importanti che pure nel loro contesto racchiudono e ricomprendono anche aree boscate. E tra questi i parchi nazionali e regionali (vedi lettera “f”.. Poiché trattasi in tal caso di boschi e foreste che esulano dal dettato stretto della lettera “g” di ordine generale e ricadono nella lettera “f” sembrerebbe di poter argomentare che tali  per i territori boscati ricompresi nei confini dei parchi sia comunque vigente il vincolo anche per il taglio colturale (con conseguente necessità di nulla-osta preventivo). Ma indubbiamente le legislazioni regionali (laddove esistenti) sono punti di riferimento prioritari su tale ultimo specifico aspetto in senso applicativo e regolamentativo dei principi nazionali.

 

Degno di citazione  - e potenzialmente significativo -  il dettato del successivo articolo 153, che riguarda "la inibizione o sospensione dei lavori". Detto articolo infatti prevede che:

“1. Indipendentemente dalla inclusione di un bene ambientale negli elenchi previsti agli articoli 140 e 144 e dalla notifica prescritta dall'articolo 143 la regione e il Ministero hanno facoltà di:

a) inibire che si eseguano lavori senza autorizzazione o comunque capaci di pregiudicare il bene;

b) ordinare, anche quando non sia intervenuta la diffida prevista alla lettera a), la sospensione di lavori iniziati.

2. Il provvedimento di inibizione o sospensione dei lavori incidenti su di un bene non ancora dichiarato e notificato di notevole interesse pubblico si intende revocato se entro il termine di novanta giorni non sia stata comunicata agli interessati la deliberazione della commissione provinciale di cui all'articolo 140 o la proposta della soprintendenza prevista all'articolo 144.

3. Il provvediemtno cautelare nonché gli atti successivi indicati al comma 2 sono comunicati anche al Comune interessato”. aTrattasi in particolare di una norma che, evidentemente ricollegando (forse in modo utopistico) un'attività addirittura di impegno preventivo della pubblica amministrazione preposta alla gestione del vincolo che travalica l'aspetto puramente autorizzatorio su richiesta,  delinea la possibilità che la stessa pubblica amministrazione intervenga ancora prima che le aree specifiche sottoposte a vincolo selettivo vengano protette possano essere dettati alcuni parametri di protezione propedeutica. Si tratterebbe in pratica di un'attività cautelativa e preliminare della pubblica amministrazione che andrebbe a incidere addirittura su un'area di tanto interesse paesaggistico - ambientale da giustificare una specie di congelamento preventivo rispetto all'iter successivo di individuazione selettiva e quindi pubblicazione negli elenchi di protezione specifica. Tale attività sarebbe preziosa specialmente per alcune aree del nostro Paese, ma restando su un piano realistico e vedendo lo sfacelo applicativo al quale la pubblica amministrazione in linea generale fino ad oggi ha sottoposto l'applicazione pratica della legge Galasso non si devono riporre molte speranze nella concreta applicazione di tale articolo seppur rimodellato e riabbellito sotto il titolo più elegante del nuovo testo unico. La realtà delle cose resterà purtroppo, nonostante la rinnovata rielaborazione normativa, esattamente identica alla situazione pregressa.


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