Importante contributo sul decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490



L'articolo 151 "Alterazione dello stato dei luoghi" riporta il sistema organizzativo amministrativo per quanto riguarda la gestione del vincolo. Recita infatti l'articolo che:

"1. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di beni ambientali inclusi negli elenchi pubblicati a norma dell'articolo 140 o dell'articolo 144 o nelle categorie elencate dall'articolo 146 non possono distruggerli né introdurvi modificazioni, che rechino pregiudizio a quel loro esteriore aspetto che è oggetto di protezione.

2. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, hanno l'obbligo di sottoporre alla regione i progetti delle opere di qualunque genere che intendano eseguire, al fine di ottenerne la preventiva autorizzazione.

3. L'autorizzazione è rilasciata o negata entro il termine perentorio di sessanta giorni.

4. Le regioni danno immediata comunicazione delle autorizzazioni rilasciate alla competente soprintendenza, trasmettendo contestualmente la relativa documentazione. Il Ministero può in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l'autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa comunicazione.

5. Decorso inutilmente il termine indicato al comma 3, nei successivi trenta giorni è data facoltà agli interessati di richiedere l'autorizzazione al Ministero che si pronuncia entro il termine di sessanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta. L'istanza, corredata da triplice copia del progetto di realizzazione dei lavori e da tutta la relativa documentazione, è presentata alla competente soprintendenza e ne è data comunicazione alla regione”.

Appare evidente che trattasi del cuore del sistema della rinnovata trascrizione della normativa sui vinicoli paesaggistici ambientali che si conferma, esattamente e puntualmente come fino ad oggi strutturata, come una norma di forma e non di sostanza.

Va infatti evidenziato che non si proibisce in senso assoluto e radicale uno scempio paesaggistico ambientale sulle aree indicate ma la struttura portante genetica del vincolo impone che chiunque voglia operare una modificazione soprattutto strutturale territoriale sulle aree in questione deve prima ottenere l'eventuale nulla osta dell'autorità amministrativa.

Si sottintende,  e questo è altro asso centrale della struttura della importantissima normativa in questione, che l'autorità preposta alla gestione del vincolo stesso e quindi al rilascio delle autorizzazioni amministrative conseguenti sia assolutamente garante della gestione del vincolo stesso. In altre parole la normativa in questione funziona soltanto se le Regioni o comunque gli Enti subdelegati alla gestione del vincolo funzionano. Infatti, sarà compito essenziale dell'Ente amministrativo competente la valutazione generale specifica se quell'opera rappresenta o meno uno scempio paesaggistico ambientale su quella determinata area territoriale.

Dunque,  la normativa in questione funziona soltanto se funziona perfettamente l'Ente amministrativo preposto al rilascio del nulla osta. Ove, come è accaduto praticamente fino a oggi in modo quasi sistematico, gli enti amministrativi preposti svuotino sostanzialmente la funzione del nulla osta preventivo traducendolo in un mero passaggio di carte formale o addirittura snaturando completamente tutto il complesso iter amministrativo traducendolo esclusivamente in una fastidiosa ulteriore burocrazia meramente formale senza alcun contenuto sostanziale, appare evidente che il passaggio essenziale delineato dall'articolo 151 si rileverà sostanzialmente inutile e tutta la struttura portante della normativa cade miseramente.

Laddove, infatti, l'argine fondamentale previsto dalla legge venga travalicato da uno svuotamento sostanziale della procedura eseguita, appare evidente che il vincolo non ha più ragione di esistere. Si traduce esclusivamente in una carta bollata in più e in qualche timbro in più apposto su un inutile iter burocratico amministrativo e dunque l'essenza stessa della normativa viene a essere travalicata.

Pertanto il senso di fondo dell'articolo 151 appare elemento essenziale in ordine alla struttura legislativa in questione. Ogni tipo di riforma in ordine ai vincoli paesaggistici ambientali, al di là del pur apprezzabile sforzo di riunificazione in un testo unico e/o di future elaborazioni normative di miglioramento future,  non può prescindere da questo vizio genetico di fondo. Inutile ristrutturare o riabbellire norme vigenti in se stesse già perfettamente efficaci se poi chi è preposto a gestirle non svolge fino in fondo il proprio mandato in senso sostanziale e non meramente superficiale e formale.

La gestione del vincolo a livello amministrativo presuppone che i tecnici dell'ente preposto svolgano un approfondita istruttoria preventiva prima del rilascio dell'autorizzazione, istruttoria che naturalmente, collegandosi sinergicamente con lo spirito della norma, vada a verificare se quella specifica opera su quella specifica area protetta costituisca o meno uno scempio paesaggistico ambientale e quindi sia compatibile con le moderne esigenze di protezione del paesaggio e dell'ambiente. Tutto ciò presuppone, dunque, una attività istruttoria articolata,  tecnici specializzati e comunque impegnati nel settore, un'esame coscienzioso ed attento da parte della pubblica amministrazione che deve soffermarsi su tale caso, ed infine un atto amministrativo motivato e ragionato che esamini in modo specifico e propedeutico tutta la situazione generale. Infine, e soltanto a questo punto, potrebbe essere rilasciato il formale nulla-osta che dovrebbe tradurre nell'elemento cartaceo formale in realtà un'attività di sostanziale impegno amministrativo che nella maggior  parte dei casi fino ad oggi non vi è stato.

Abbiamo infatti supporti cartacei che riportano esclusivamente timbri e frasi senza alcun collegamento con approfondimenti istruttori sostanziali e dunque qui la legge Galasso fino ad oggi è sostanzialmente stata svuotata. Non è stata abolita,  non è stata modificata, ma è stata di fatto disapplicata nel suo asse portante di iter amministrativo e quindi sostanzialmente caduta in desuetudine. Il riconfezionamento in un testo unico certamente apprezzabile certamente da solo non può bastare per rivitalizzare una normativa che, se continuerà a essere così sostanzialmente disapplicata a livello amministrativo giorno dopo giorno resterà comunque immutata nel dimenticatoio politico amministrativo ed anche quindi giudiziario di conseguenza. L'articolo in questione non parla delle subdeleghe e l'argomento sarebbe stato invece di prioritaria importanza. Si deve dunque dedurre che la situazione resta perfettamente inalterata rispetto alla realtà pregressa ed attuale.

 

E la subdelega è stato uno agli elementi che ha svuotato fino ad oggi l'applicazione pratica della legge 431.

Infatti, va sottolineato che il ruolo della Regione, quale ente sovraordinato, era (ed è a tutt’oggi) quello di esercitare un controllo preventivo dall’alto verso le singole  gestioni parrocchiali operate dai singoli comuni che avevano in gestione praticamente esclusiva e quasi insindacabile le alterazioni morfologiche del territorio anche in aree particolarmente pregiate.

In sostanza, la Regione dovrebbe essere una specie di organo controllore preventivo rispetto alle successive concessioni da parte dei Comuni. Nel momento in cui la Regione si è di fatto spogliata di questa competenza (per la quale si era pur tanto battuta in precedenza) subdelegandola in via progressiva prima a enti intermedi come le Province o consorzi intercomunali e poi da ultimo ai singoli comuni, abbiamo avuto veramente lo schianto politico istituzionale della normativa in questione. Infatti, quando la delega ha raggiunto i comuni siamo giunti veramente al paradosso in base al quale l’organo “controllato” diventava controllore di se stesso. Per di più, poi, la delega, che già svuotava la prassi della legge Galasso da ogni significato sostanziale oltre che formale, ha visto sempre più progressivamente peggiorare la situazione.

Infatti, a rigor di logica e giuridico, la Regione nel delegare ai singoli comuni l’istruttoria ed i passaggi amministrativi, doveva trasformare il Comune in una specie di organo regionale sub delegato, il quale doveva esercitare puntualmente e seriamente la stessa prassi amministrativa demandata alla Regione per poi paradossalmente ricominciare da capo, ritornare comune e dunque sostanzialmente riesaminare il caso nella seconda veste politica istituzionale. Ma così non è stato. Infatti, i comuni, già investiti di questo fortissimo potere, hanno “tagliato corto” ed hanno semplicemente integrato la commissione urbanistico-edilizia con un “esperto in materia ambientale” e tutta la complessa e significativa attività istruttoria prevista dalla legge Galasso si è semplicemente trasformata e riversata in un “parere positivo” dell’esperto in materia ambientale in sede di commissione urbanistico-edilizia e di fatto la legge Galasso a questo punto è totalmente scomparsa dalle prassi applicative del nostro Paese.

In realtà le cose dovevano (e dovrebbero ancora oggi) andare diversamente. La regione nel momento in cui delega il comune trasferisce sul suo capo tutta la procedura connessa e dunque il comune paradossalmente in quel momento cessa di essere tale e diventa un organo regionale sub-delegato che deve svolgere le stesse identiche funzioni regionale e cioè:

avviare l’istruttoria tecnica sul territorio per verificare la coerenza dell’opera  con le esigenze di tutela ambientale e paesaggistica;

redigere una istruttoria tecnica motivata sulla base degli esiti così riscontrati;

provvedere al rilascio formale del necessario nulla-osta regionale in nome e per conto della regione delegante;

avviare tutte le prassi successive, in particolare la mora dei 60 giorni di attesa per consentire all’organo statale ministeriale (leggi sovrintendenza) di provvedere all’eventuale intervento anche di annullamento dello stesso atto;

consentire in questi 60 giorni di mora ai privati con interessi legittimi o agli enti esponenziali (es. WWF) le facoltà di impugnative di rito;

allo scadere della mora in questione rendere esecutivo il nulla osta regionale sub delegato.

In tutto questo meccanismo, i tecnici comunali e gli organismi politico-amministrativi comunali non dovrebbero essere tali ma sono esclusivamente soggetti formalmente sub delegati dalla Regione. Soltanto dopo il rilascio del nulla osta e lo scadere della mora i singoli soggetti tornano ad essere formalmente organi comunali e dunque paradossalmente è necessario l’avvio della pratica ordinaria in ordine alla concessione, che utilizzerà tale nulla osta come atto primario per il rinnovo dell’iter. Ma tutto questo passaggio formale è stato saltato integralmente dai comuni i quali hanno eliminato sia l’istruttoria tecnica, sia il rilascio del nulla osta formale, sia soprattutto la mora di attesa dei sessanta giorni riversando il tutto in un mero e banale parere positivo dell’esperto in materia ambientale ed avviando quindi la pratica non già come nulla osta formale della legge Galasso ma già direttamente e inesorabilmente come concessione urbanistico-edilizia.

Dunque, tutto il criterio Galasso è diventato esclusivamente un mero parere inserito già nel regime concessorio. E dunque la legge Galasso formalmente scomparsa. Vi è poi da sottolineare il mancato intervento della struttura ministeriale attraverso le sovrintendenze per bloccare ed inibire i nulla osta che hanno favorito il rilascio di concessioni per opere palesemente costituenti scempio paesaggistico ambientale in aree particolarmente protette.

 
<< pag. prec.

pag.succ. >>


 

SU

 

homeclr.gif (9257 byte)